Libri sull’arte a Ravenna
I libri d’arte sono prodotti di nicchia: non li legge quasi nessuno, non ci si guadagna e comunque c’è Internet. Eppure, sempre più gallerie hanno iniziato a produrre libri. Come mai?
Un momento culminante spettacolare della Fiera del libro di Francoforte di quest’anno, il più grande incontro internazionale del settore, è stato quando David Hockney e il suo editore Benedikt Taschen hanno presentato A Bigger Book (500 pagine, 35 chilogrammi) a un vasto pubblico di giornalisti e fan. Con questo libro d’arte supersize da 2.000 dollari Taschen ha ottenuto un altro colpo, sottolineando lo status speciale che l’impronta che ha fondato a Colonia nel 1980 ha guadagnato: la sua strategia di vendita include una catena di boutique in città come Parigi, New York, Los Angeles, Londra, e Bruxelles, con interni progettati da artisti e designer tra cui Philippe Starck, Beatriz Milhazes e Albert Oehlen.
L’eccitazione che circonda l’enorme pubblicazione di Hockney mostra anche quanto sia ancora importante il mezzo costoso ed essenzialmente anacronistico del libro per il business dell’arte di oggi e quanto siano importanti in particolare i libri sull’arte a Ravenna. Anche nell’era di Internet, o forse soprattutto in questi tempi, la monografia è una moneta forte nella competizione per la visibilità di qualsiasi artista, l’imperativo sottostante è “pubblica o muori”.
Questo potrebbe anche spiegare in parte l’entusiasmo di grandi gallerie internazionali come David Zwirner, Hauser & Wirth o Gagosian di entrare nel business del libro. E proprio come le case editrici tradizionali, queste gallerie ora stampano i propri cataloghi di pubblicazioni, partecipano a fiere come l’Art Book Fair di New York e Los Angeles (che un tempo era per editori piccoli e indipendenti), o aprono punti vendita dei loro possedere. Prendiamo ad esempio la libreria di Hauser Wirth & Schimmel, che ha aperto la scorsa primavera a Los Angeles come joint venture tra la galleria e il distributore di libri d’arte Distributed Art Publishers (DAP) che gestisce anche librerie di musei.
Il mercato dell’arte sembra essere positivamente alto sui libri. Ma, ancora una volta, perché entrare nell’editoria ora, un campo vacillante che è economicamente impraticabile? L’entusiasmo delle gallerie per il materiale stampato è semplicemente l’altra faccia di una situazione che ha colpito l’intero settore del libro d’arte? O si tratta di conquistare il regno simbolico della parola e dell’immagine, dove le rivendicazioni devono essere messe in gioco nella lotta per artisti e collezionisti?
Quello che è certo è che i libri aiutano a offuscare ulteriormente la linea già fluida tra gli aspetti commerciali e non commerciali – o simbolici – della creazione di valore.
L’ex editore di libri d’arte di Francoforte Christoph Keller una volta descrisse questa situazione come segue: “I libri d’arte non sono più scritti per essere letti, ma per sanzionare il lavoro degli artisti, per giustificare, aumentare o stabilizzare i prezzi delle opere d’arte sul mercato, per stabilire posizioni dei commercianti e dei collezionisti. Mentre, in numero costantemente decrescente, i libri sull’arte contemporanea sono ancora venduti, anche la procedura di vendita di quei libri a un pubblico molto vago serve principalmente la meccanica capitalista del mercato dell’arte.
Secondo Keller, il declino del settore dei libri d’arte si riflette, tra l’altro, nei compensi pagati agli scrittori, che sono molto al di sotto di quelli di disegnatori, fotografi o traduttori. Oggi, scrive, l’unica scelta aperta a critici e teorici è “rimanere all’interno della torre d’avorio accademica – o sopravvivere agendo come volenterosi servitori del mercato dell’arte senza alcuna possibilità di essere ricompensati finanziariamente da qualche parte vicino ad artisti, mercanti d’arte o anche agli speculatori del collezionismo”.
Solo poche persone sembrano non esserne interessate, come il filosofo e teorico dell’arte Boris Groys. Già negli anni ’90, ha affermato che i testi nei cataloghi e nelle riviste d’arte non sono comunque scritti per essere letti, ma servono invece come “vestiti di testo protettivi per opere d’arte” che altrimenti sarebbero “esposte al mondo, abbandonate e nude”. Più il testo è incomprensibile, meglio è. In quest’ottica, un catalogo d’arte è insieme indispensabile e superfluo.